Vivere una vita impegnata significa ogni giorno lottare per la libertà, la giustizia e la pace. Ricordando che nessuno può disertare il dovere incessante di ricerca dell'eguaglianza e della fraternità.
Ma prima di ogni cosa è l'educazione che dobbiamo porre come bene primario, proprio come bere acqua o mangiare pane. Educare all'essere cittadini.
E tutto questo passa da sempre attaverso i libri.
Il diritto di cittadinanza alle donne. Questo il tema focale che il Novecento ha trasmesso ad un nuovo millennio che invece mostra segni di avversione a questo passaggio.
Il ruolo della donna nella società occidentale, così come in quella araba, e in parte in quella orientale, è diventato materia immediata. Superata l'onda del femmimismo centralista e per certi aspetti in contrasto aperto con il sistema patriarcale dominante, si è fatta avanti una nuova scelta che non è in contrasto ma in condivisione con il mondo maschile.
Insomma la donna cittadina del tutto simile all'uomo cittadino.
Forse questa eguaglianza non più gridata, ma faticosamente ottenuta, è il motivo scatenante della violenta reazione del maschio al divenire.
Certo di strada ancora ne abbiamo molta da compiere per una reale dondivisione di spazi e valori, ma indietro non si può tornare.
Per meglio chiarire questa posizione riporto integralmente le conclusioni del saggio di Daniela Cimadamore "LA DONNA FRANCESE NEGLI ANNI VENTI. Garçonne e femme fatalea donna francese" (Tra le righe libri).
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Come emerge da questo lavoro (l'autrice cita il proprio saggio al termine del lavoro), durante gli Anni Folli la Francia, insieme ad altri stati come la Germania, la Russia, l’Inghilterra, l’Italia e l’America, conobbe l’ebbrezza della pura felicità, nella certezza che l’atroce guerra che aveva falciato una generazione sarebbe stata la “der des der” e che il mondo non si sarebbe mai più lanciato in una tale impresa distruttiva. Ma gli anni Venti, sotto le facili apparenze, rivelavano la nascita di avvenimenti che avrebbero dominato i decenni seguenti e che si sarebbero ripercorsi sul mondo intero sfociando nella Seconda Guerra mondiale e nei regimi totalitari più brutali che questo secolo abbia mai conosciuto.
Il 28 ottobre del 1929 i contemporanei assistettero al così detto “giovedì nero”: il crollo della borsa di Wall Street. In poche ore milioni di piccoli risparmiatori si videro in rovina, e alcuni di loro, avendo perduto tutto, si suicidarono. Con un pò di ritardo, la crisi si espanse lentamente come una piaga in tutta Europa: si misero così in atto tutti gli elementi della tragedia che sarebbe iniziata con l’avvio degli anni Trenta. Gli Anni Folli erano terminati, ed il mondo stava entrando in un periodo di incertezza e di inquietudine; quella frenesia che aveva caratterizzato gli anni Venti sembrava venire pian piano sfumando.
Quelli che avevano danzato, bevuto, festeggiato e vissuto durante quei dieci anni, compresero bene che questa età dell’oro stava oramai terminando: un’altra follia prendeva allora il sopravvento, una guerra che da lì a pochi anni avrebbe sconvolto l’intero mondo.
Anche la donna si preparava a scrivere una nuova pagina di storia, ricordando forse come effimera una libertà che fino ad allora aveva creduto irreversibile. trovandosi di fatto nuovamente relegata alla sola attività di madre e sposa.
Sebbene nella maggior parte delle monografie i vari studiosi asseriscono che la Prima Guerra mondiale non modificò in alcun modo la realtà femminile, è comunque indiscutibile il fatto che le donne conobbero una emancipazione che prima di allora non era mai stata presente. Tuttavia, per poter verificare se quell’emancipazione fu transitoria o meno è necessario capire cosa avvenne negli anni che seguirono.
A partire proprio dagli anni Trenta si sviluppò un modello di felicità familiare che valorizzava il matrimonio d’amore, e ancora una volta la vita presso il focolare e l’attenzione verso i propri figli, promossa in particolar modo dai movimenti cristiani che durante la Seconda Guerra si interrogarono sulla coppia e sulla natura del rapporto matrimoniale. Christine Bard asserisce che in Francia “la campagne pour le retour de la femme au foyer bat son plein entre 1931, la crise mondiale atteint avec un peu de retard l’exagone, et 1935”(1).
Il 5 novembre del 1931 nel giornale “Le Matin”, Charles Richet (2) che da sempre aveva sostenuto il movimento femminista, diede l’avvio alla campagna contro il lavoro femminile in nome della salvaguardia della famiglia e della lotta contro la disoccupazione maschile. Dal 1933 si susseguirono congressi e conferenze che proclamavano ugualmente l’interdizione del lavoro femminile; solo alla Conférence internationale des associations patronales la discussione del giorno volgeva specificatamente sulla proibizione lavorativa per le madri e non per le donne sposate. Marguerite Thibert, presidente dell’AISF (3), constatò che:
La crise a déterminé une véritable réaction contre l’émancipation féminine, contre l’accession des femmes aux carrières intellectuelles, aux professions industrielles. Les femmes mariées surtout auxquelles on prêche le retour au foyer, mais à un foyer éteint, autour d’enfants sousalimentés (4).
Marguerite Thibert diede alle femministe tutte le “armi” necessarie per combattere la teoria delle “voleuses d’emplois” e per “démystifier la solution du retour au foyer” (5).
Madeleine Pelletier difese più che mai anche lei il principio dell’indipendenza economica:
tant que la femme ne gagne pas sa vie par le travail, la conquête du mâle est son seul moyen de lutter pour la vie. L’homme étant le dispensateur de tous les biens, la femme met tout en œuvre pour l’accaparer: sa jeunesse, sa beauté, sa coquetterie sont ses armes. (...) nul esclavage, pas même celui de l’usine, n’est pire que l’esclavage sexuel, car si le mari est un maître, le patron en est un aussi, mais son autorité est moins étroite; elle ne s’étend pas à tous les istants de la vie. En outre, l’autorité est moins dure; un patron ne donne pas de coups; il se contente de réprimander ou de renvoyer. Enfin, on peut plus aisément remplacer un patron trop dur qu’un mari qui fait de la vie un enfer (6).
Si incolpava la donna di essere la responsabile della crisi economica in atto, e il suo licenziamento era considerato indispensabile per liberare posti lavorativi che avrebbero potuto occupare gli uomini. Le retour au foyer avrebbe permesso quindi un ritorno ad un equilibrio economico, in particolar modo all’ideale di felicità che avrebbe potuto riconciliare nel matrimonio amore e convivenza, speranza romantica e realtà quotidiana.
Con l’inizio del regime di Vichy si esaltò nuovamente il concetto di famiglia, specialmente quello di madre, anche se questa volta sotto il nome dell’obbedienza, del dovere e della gerarchia, quando al contrario, negli anni Trenta, il “familismo” si era sforzato di armonizzare felicità e doveri, morale e libertà nell’amore e nel rispetto reciproco dei coniugi.
A questo punto occorre ricordare che il collaborazionismo e l’occupazione non costituirono un periodo di guerra confrontabile a quello del 1914-1918, con la separazione così netta del fronte e delle retrovie, dei civili e dei combattenti, della Patria e del nemico: dal 1940 al 1944 la guerra fu ovunque e in nessun luogo, con tutte le ambiguità generate da questa situazione eccezionale. Lo Stato francese nacque dalla disfatta rapida e brutale del maggio-giugno 1940 e al di là del problema immediato dell’armistizio e dei rapporti con l’occupante, questo regime autoritario e reazionario pretese di offrire una risposta complessiva alla crisi militare, politica e morale che la Francia aveva appena subito. Nello smarrimento e nella confusione estrema dell’estate del 1940, i francesi espiavano, con la disfatta, “l’esprit de jouissance” (7) che prevalse fin dal 1918 e che aveva generato una decadenza morale fatale alla patria. Il riscatto si sarebbe avuto solo con il contributo di tutti i francesi all’opera di ricostruzione nazionale, il cui motto “Travail, Famille, Patrie”, ne riassumeva i principi e gli obbiettivi. La rivoluzione nazionale fu diretta dal maresciallo Pétain che si presentò ai francesi come un Padre. A questi figli si ritirò il voto, mentre si sostituì alla Repubblica un contratto politico inedito, di tipo familiare: la protezione del Padre venne esercitata solo in cambio di una promessa di fedeltà e di obbedienza assoluta.
Anche la donna fu naturalmente assoggettata a questo clima di nascosto dittatorialismo e l’ideale femminile che ne derivò fu quello di una donna dedita alla famiglia, dal corpo sano, dal fisico robusto, condannando la bellezza affettata e ricercata degli anni precedenti, in nome della naturalezza e della semplicità.
Seguendo la teoria del corso e ricorso storico di Vico, le donne dunque si trovarono durante la Seconda Guerra mondiale nuovamente unite al sesso maschile in nome della Nazione, ma trascorso il secondo inferno più grande della storia si ritornò nuovamente alle divisioni tra i sessi.
Qualche anno dopo la fine delle due guerre Simone de Beauvoir rese l’argomento nuovamente attuale pubblicando nel 1949 Le Deuxième Sexe, nel quale si interrogò sulla natura dell’essere donna. Ella affermava che il ruolo e lo spazio che le donne devono ricoprire nella società è imposto loro dal potere patriarcale attraverso un complesso sistema di obblighi educativi, legislativi, sociali ed economici, e non deriva da una necessità genetica (8).
Gli anni Cinquanta videro, inoltre, l’apogeo della madre casalinga il cui condizionamento ideologico da parte dei media venne denunciato nel 1963 da Betty Friedan in The Femminine Mystique, il libro sulle donne più venduto nel mondo, uno dei testi fondamentali del femminismo dopo A Room of One’s Own di Virginia Woolf (1929) e Le Deuxième Sexe.
Il movimento femminista del maggio francese, riproponendo la lettura del testo della Beauvoir, pose l’accento, con maggior fervore, sulla necessità di decristallizzare quell’oramai secolare costrutto che caratterizzò anche gli Anni Folli, secondo il quale la donna non poteva esercitare i vari diritti di cui l’uomo era invece provvisto.
Durante gli Anni Folli si assistette ad una momentanea e quindi effimera emancipazione che, tuttavia, non fu isolata ma ripresa in diversi momenti storici, tanto da far parlare ancora ai giorni nostri della condizione femminile e di quell’aspirato egualitarismo al quale la stessa Simone de Beauvoir fece riferimento.
Note
1 - C. Bard, Les filles de Marianne, op. cit., p. 313.
2 - Charles Richet, membro dell’Istituto e dell’Accademia di medicina, apparteneva al comitato della LFDF e aveva da sempre sostenuto la campagna suffragista.
3 - La sigla indica L’Association internationale pour le suffrage des femmes.
4 - M. Thibert in C. Bard, Les filles de Marianne, op. cit., p. 314.
5 - Marguerite Thibert sviluppò la sua argomentazione in uno studio intitolato Crise économique et travail féminin (Cfr. “La Revue internationale du travail”, Ginevra, Bureau internationale du travail, vol. XXVII, 1933, pp. 647-648).
6 - M. Pelletier, L’Éducation féministe des filles et autre textes, Paris, Syros, 1978, pp. 171- 175.
7 - G. Duby, Histoire des femmes en Occident, op. cit., p. 263.
8 - Una parte importante dell’opera di Simone de Beauvoir è dunque dedicata alla descrizione della metamorfosi della fisiologia femminile in quel vero e proprio percorso di guerra che è il passaggio dalle prime mestruazioni alla menopausa, attraverso la maternità. La minuziosa descrizione sottolinea la percezione tradizionale della natura “handicappante” del corpo femminile, ed è dunque superando il dato corporeo (e non adattandovisi) che l’essere umano – e nel caso specifico la donna – può diventare soggetto. Sottolineando la pesante contingenza corporea delle donne, Simone de Beauvoir affermava tuttavia la loro capacità di liberarsene per diventare pienamente umane. Questa attuazione è dapprima un atto individuale che ciascuna compie per sé, ma rispetto al movimento femminista degli anni Settanta, Simone de Beauvoir è più attenta al carattere collettivo della liberazione, scoprendo così la necessità di una lotta comune ad altre lotte rivoluzionarie. Le eredi di Simone de Beauvoir tenderanno a radicalizzare la sua posizione, contestando la validità della costruzione sociale del sesso e quindi del genere. Le donne costituiscono una classe analoga alla classe operaia, e come questa destinata a scomparire con l’eliminazione dei rapporti di potere.