Andrea Giannasi

Vivere una vita impegnata significa ogni giorno lottare per la libertà, la giustizia e la pace. Ricordando che nessuno può disertare il dovere incessante di ricerca dell'eguaglianza e della fraternità.
Ma prima di ogni cosa è l'educazione che dobbiamo porre come bene primario, proprio come bere acqua o mangiare pane. Educare all'essere cittadini.
E tutto questo passa da sempre attaverso i libri.

Il disarmo: la gente non ci pensa

Pensiamo ad un mondo senza guerre. Oggi, nel momento durante il quale siamo tutti connessi, diventa possibile rilanciare questio messaggio. Diventare testimoni di pace e lottare per il disarmo: ecco uno dei nostri compiti.
Ricordando Hiroshima, Auschwitz, Aleppo, Sant'Anna di Stazzema, Sarajevo, le fosse di Katyn, i desaparecidos, i Khmer rossi, e via via così senza fine in secoli di guerre e violenza.

Nel 1979 Carlo Cassola in una lettera ad Angelo Gaccione scrive ad un tratto: "La gente non ci pensa".
E' vero noi non pensiamo al rapporto con la guerra, con le armi, con la violenza. La letteratura non basta, serve altro.
E aggiunge poi quello che tutti dovremmo condividere:

"Esistono due partiti solamente: quello della morte e quello della vita. Il partito della morte ha un solo nome: fascismo. Lo ha dall’altro dopoguerra, quando per la prima volta comparvero i lugubri gagliardetti col teschio; lo ha da quando un generale fascista spagnolo gridò: “Viva la morte!”, aprendo finalmente gli occhi all’umanista Unamuno e facendogli capire quale scelta sbagliata avesse fatto. Lo ha dal tempo della prima e della seconda guerra mondiale, dei bombardamenti e delle carneficine.
Il partito della vita dev’essere il nostro".

Dal libro che contiene il carteggio completo traggo la lettera integrale.

19 ottobre 1979

Ogni volta che uno comincia una cosa, sono portato a domandarmi se avrà il tempo di finirla. Così, davanti alla prima puntata del bel romanzo di Vincenzo Guerrazzi Bombe, missili e cannoni, sono portato a domandarmi se il vostro settimanale avrà il tempo di terminarne la pubblicazione.

Non facciamoci illusioni: il mondo può saltare in aria anche domani. Davanti a questa spaventosa e quasi inimmaginabile eventualità, tutto il resto diventa secondario. Mi vien da ridere quando mi viene dato del violento. Da parte di chi? Da parte di persone che non sanno di essere sedute sull’orlo di un vulcano.

Tutti i nostri scrupoli sono bruciati dalla situazione disperata nella quale ci troviamo. Non dobbiamo preoccuparci di nulla, perché in realtà nulla è importante davanti alla spaventosa prospettiva che abbiamo di fronte. Possiamo chiudere gli occhi, come gli struzzi; ed è quello che fanno tutti, anche gli operai che lavorano nelle fabbriche d’armi, anche gli scienziati che le progettano. Ma questo volontario accecamento non impedirà la catastrofe. Chiudere gli occhi davanti alla realtà non vuol dire che questa non produca i suoi frutti. Oggi sta per produrre il frutto più avvelenato: la fine del mondo. È iscritta nell’attuale ordine di cose, e non potrà non venire, se le lasciamo stare allo stesso modo. Bisogna assolutamente cambiarle prima che sia troppo tardi.

La gente non ci pensa. A me dà dell’apocalittico e del menagramo, solo perché faccio certe previsioni, assolutamente ragionevoli.

Chi va a lavorare nelle fabbriche d’armi (come l’operaio protagonista del romanzo di Guerrazzi) produce ordigni di morte con la massima incoscienza. Tanto ammazzano solo negri e meticci: in altri continenti, non nel nostro.

Eppure un proverbio dice: “Chi la fa l’aspetti”. E un altro, assolutamente simile: “Chi semina vento raccoglie tempesta”. Il male che facciamo esportando armi lo sperimenteremo anche noi, decuplicato.

Naturalmente occorre una forza d’animo straordinaria (come quella dell’obiettore di coscienza) perché un operaio rinunci al proprio lavoro. Ma è necessario che lo faccia. Pur coscienti che l’alternativa è la disoccupazione, noi chiediamo a questi compagni operai di fare obiezione di coscienza. Il romanzo di Guerrazzi, fondato su un ope-raio che deve rinunciare al proprio lavoro in una fabbrica d’armi, e quindi al mantenimento della propria famiglia, mi sembra indicativo di questo contrasto e di questa necessità.

Naturalmente una certa morale lo condanna. La morale piccolo-borghese, a cui s’inchinano anche i Sindacati. Per questa morale, la famiglia è la prima cosa. L’operaio di Guerrazzi, che ha abbandonato la famiglia per un’altra donna, è già per questo spregevole. Rifiuta anche di continuare a lavorare in una fabbrica d’armi: è proprio un fuorilegge, che diamine.

La lega per il disarmo unilaterale è un’obiezione di coscienza generalizzata, cioè un fatto politico: è il solo strumento di cui dispongono i lavoratori per superare la contraddizione di cui ho appena parlato. Per questo diciamo loro: rafforzatela e sostenetela.

Non vi fidate di chi vi dice di fare il vostro interesse. Se vi dice di lavorare nelle fabbriche d’armi, va certo contro il vostro interesse. Quelle stesse armi che oggi ammazzano i negri, un giorno ammazzeranno i vostri bambini.

Gli operai non devono fabbricare strumenti di morte: devono fabbricare solo strumenti di vita. L’operaio è quasi il simbolo di un’attività che dovrebbe essere gioiosa perché volta a produrre beni di cui gli uomini hanno bisogno per vivere.

Esistono due partiti solamente: quello della morte e quello della vita. Il partito della morte ha un solo nome: fascismo. Lo ha dall’altro dopoguerra, quando per la prima volta comparvero i lugubri gagliardetti col teschio; lo ha da quando un generale fascista spagnolo gridò: “Viva la morte!”, aprendo finalmente gli occhi all’umanista Unamuno e facendogli capire quale scelta sbagliata avesse fatto. Lo ha dal tempo della prima e della seconda guerra mondiale, dei bombardamenti e delle carneficine.
Il partito della vita dev’essere il nostro
. Ma non potrà sorgere finché l’attività umana continuerà a essere rivolta verso la guerra, come dimostra il caso di questi operai impiegati nelle fabbriche di morte.
Non soltanto loro, tutti gli appartenenti a una società sbagliata come la nostra, apparteniamo al partito della morte. Siamo infatti finalizzati alla guerra; cioè, tolleriamo la presenza delle forze armate. Noi della Lega per il disarmo unilaterale abbiamo deciso di uscire dal partito della morte e fondare il partito della vita.

Carlo Cassola
 

Tratto da:

Lettera di Cassola tratta da:
Cassola e il disarmo. La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984
A cura di F. Migliorati, A. Gaccione
Editore: Tra le righe libri
Anno edizione: 2017
Pagine: 266 p. , ill. , Rilegato
EAN: 9788899141868

https://www.ibs.it/cassola-disarmo-letteratura-non-basta-libro-vari/e/9788899141868